Stavo preparando questo post circa due settimane fa, quando ho cominciato ad avere problemi con il lavoro. Non sto a raccontare tutto. Comunque, sto vivendo una situazione che mi addolora. La crisi non è una risposta sufficiente per essere trattati come "cose", spostati, utilizzati, presi per i fondelli......... Non sono l'unica lo so, e ci sono situazioni peggiori, ma quanta amarezza....
La grande gioia
L'ombra che ho frugato
ormai non mi appartiene.
Io ho la gioia duratura
dell'albero,
l'eredità dei boschi, il
vento del cammino
e un giorno deciso sotto la
luce terrestre.
Non scrivo perchè altri
libri mi imprigionino
nè per accaniti apprendisti
di giglio,
bensì per semplici abitanti
che chiedono
acqua e luna, elementi
dell'ordine immutabile,
scuole, pane e vino,
chitarre e arnesi.
Scrivo per il popolo per
quanto non possa
leggere la mia poesia con i
suoi occhi rurali.
Verrà il momento in cui una
riga, l'aria
che sconvolse la mia vita,
giungerà alle sue orecchie,
e allora il contadino
alzerà gli occhi,
il minatore sorriderà
rompendo le pietre,
l'operaio si pulirà la
fronte,
il pescatore vedrà meglio
il bagliore
di un pesce che palpitando
gli brucerà le mani,
il meccanico, pulito,
appena lavato, pieno
del profumo del sapone
guarderà le mie poesie,
e queste gli diranno forse
:"E' stato un compagno".
Questo è sufficiente:
questa è la corona che voglio.
Voglio che all'uscita dalle
fabbriche e miniere
stia la mia poesia
attaccata alla terra,
all'aria, alla vittoria
dell'uomo maltrattato.
Voglio che un giovane trovi
nella scorza
che io forgiai con lentezza
e con metalli
come una cassa, aprendola,
faccia a faccia, la vita,
e affondandovi l'anima
tocchi le raffiche che fecero
la mia gioia,
nell'altitudine della tempesta.